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Data: 24/11/20

Orario

Martedì 24 novembre 2020
ore 21.00

Ospitato in

Indirizzo

Indirizzo: Via Ostuni, 8
Zona: Quartiere Alessandrino (Roma est)
Tra Via Prenestina e Viale Palmiro Togliatti

Informazioni

Intero € 12,00  
Ridotto € 10,00 (over 65, under 24, possessori di Bibliocard)

Ingresso contingentato con prenotazione obbligatoria
Info e prenotazioni tel. 06 69426222
E-mail promozione@teatrobibliotecaquarticciolo.it

Modalità di partecipazione: Prenotazione obbligatoria

Contatti

Descrizione

Stagione Condivisa Teatro Studio Uno e TBQ
Mi manca van Gogh

di e con Francesca Astrei

Una storia vera, trainata da quella sensazione di non aver detto “la cosa giusta al momento giusto” e da tutte quelle domande che vorremmo porre ai nostri grandi idoli se solo ne avessimo l’occasione: una storia di confine tra privato e pubblico, tra l’avere un’urgenza e l’esser matti. Di fronte all’esposizione di un quadro di Van Gogh, la biografia dell’artista si fonde con la vicenda di Michela, una ventiduenne vittima di un ricatto, rivelando un’infinità di punti di congiunzione. A condurre il racconto una verace guida turistica (ironica, ma mai dissacrante), sempre alla ricerca “delle parole giuste”.

“Credo che Gauguin pensasse che l’artista deve ricercare il simbolo, il mito, ingrandire le cose della vita sino al Mito, mentre Van Gogh pensava che bisogna saper dedurre il mito dalle cose più comuni della vita. E in questo, io penso che avesse maledettamente ragione.
 Perché la realtà è terribilmente superiore ad ogni storia, ogni favola, a ogni divinità, ad ogni surrealtà”.

La storia di Michela è realmente accaduta in Sardegna nel 2017. Una tra le tante storie di suicidio per diffamazione avvenute tra i giovani negli ultimi anni. Facendo riferimento all’intero testo, illuminante, di Artaud sopra citato, la riflessione fulcro dello spettacolo è che in alcuni casi, come quello della nostra protagonista, il suicidio non è propriamente un atto auto-inflitto, ma qualcosa che viene subito per mano, seppur invisibile, di altri.

Creando un immaginario dagli scenari vangoghiani, la narratrice racconta la storia della sua amata “vittima della società”: ogni quadro dell’artista fa da sfondo ad un capitolo di racconto, ogni elemento della vita del pittore può essere tradotto e proporzionalmente paragonato a quello della giovane. Proprio come dice Artaud, la realtà è terribilmente superiore ad ogni surrealtà, e leggendo la storia di Michela Deriu lo si comprende nitidamente: ogni tassello della vicenda, si colora di tinte ancora più “sconvolgenti” se accostato alla consapevolezza che siano realmente accaduti, ad una poco più che adolescente.
Da sempre, si dice che studiando il passato si impari a non commettere di nuovo i medesimi errori: per quanto non si possa nascondere un retrogusto utopico, tale affermazione si fonda su un principio giusto, ovviamente. Ma oggi succedono “talmente tante cose”,  diffuse tutte come “talmente tanto importanti” che, non solo è difficile selezionare quelle veramente di valore e seguirle, ma è difficile scandirne un tempo passato e presente. Tutto appartiene ad un vago presente costante, in cui però sono pochi i fatti che emergono tra questa galassia di notizie.  Storie come questa rischiano di essere catalogate in un macroreparto che appartiene ai suicidi giovanili, e abbandonata lì, in attesa di riaprire il catalogo per aggiungerne un altro, drammatico, fascicolo.

Dobbiamo avere cura del nostro presente. Delle menti giovani. Delle informazioni. Della storia. Delle storie di ognuno di noi.

Avere cura, in questo momento in cui si ha troppa fretta, per avere cura.

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Data di ultima verifica: 26/10/20 15:55