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Data: da 04/12/15 a 13/02/16

Orario

Dal 4 dicembre 2015 al 13 febbraio 2016
Mar-ven ore 16.00-19.00
Sab 10.00-13.00 / 16.00-19.00
Chiuso domenica e lunedì

Ospitato in

Indirizzo

Indirizzo: Largo della Fontanella di Borghese, 19
Zona: Rione Campo Marzio (P.Spagna-P.Popolo-Pincio) (Roma centro)
Presso Palazzo Borghese

Informazioni

Modalità di partecipazione: Ingresso libero

Contatti

Telefono: 06 83796619 (attivo durante gli orari d’apertura)

Descrizione

Tre mostre in contemporaneae per raccontare quasi un secolo di arte, di storia, di fotografia.
Per raccontare nell’arco di 85 anni, dal 1930 al 2015, la storia immensa dell’Unione Sovietica, nel suo farsi e disfarsi, tra illusioni, propaganda, disillusioni, memoria.

Apre la trilogia Rozalija Rabinovič (Kiev, 1895 - Mosca, 1988), pittrice, allieva del VChUTEMAS e interprete originalissima della propaganda negli anni ’30 nel segno di Stalin. Segue Sergei Vasiliev (Čeljabinsk, 1937), nome di riferimento del fotogiornalismo oltre cortina, premiato cinque volte al World Press Photo, e autore di un intenso ritratto della vita quotidiana negli anni del primo “disgelo”, tra i carcerati e la follia dei loro tatuaggi, e i corpi morbidi e immacolati delle donne nella sauna e nelle fasi più emozionanti del parto in acqua. Chiudono le immagini compostissime di Danila Tkachenko (Mosca, 1989), enfant prodige della fotografia russa, che ha ritratto le zone off limits, militari e industriali, dell’ex Urss, simbolo della guerra fredda e della più ambiziosa tecnocrazia di regime.

Stella Rossa. Rozalija Rabinovič e l’arte della propaganda
a cura di Michele Bonuomo e Laura Leonelli
Rozalija Rabinovič (Kiev, 1895 – Mosca, 1988) è una delle più originali e meno conosciute interpreti della propaganda sovietica. Una selezione di una quarantina di disegni, realizzati dal 1930 al 1938, giunge a Roma e racconta, sotto la luce fiammeggiante della stella rossa, miti, simboli e protagonisti dell’era staliniana, nel passaggio dall’epoca più rivoluzionaria delle avanguardie al pieno sviluppo del realismo sovietico. Nei colori primari del rosso e del nero, e in una profusione “sacra” di oro, la Rabinovič dipinge un mondo in costruzione e Stroim! (costruiamo) è la parola d’ordine che riecheggia tra ciminiere, treni in corsa, scavatrici, dirigibili, aerei in volo tra le guglie del Cremlino.
Nel progetto di creazione di un mondo dal “radioso avvenire” tutti sono coinvolti: i padri della patria, le giovani leve, e gli eroi, dagli operai alle kolchoziane, dagli aviatori alle nuove donne sovietiche. In una scenografia grandiosa, in un’esaltazione eroica della geometria, le
ciminiere salgono al cielo, Lenin indica la via, gli aerei e i dirigibili volano da un capo all’altro dell’Unione Sovietica, Stalin annuncia i piani quinquennali, i pionieri suonano i tamburi, i paracadutisti si lanciano coraggiosi, i trattori e le scavatrici conquistano nuove terre, e le
locomotive, simbolo della civiltà delle macchine, uniscono in sole sette ore Mosca e Leningrado.

Nel chiuso dell’URSS. Lo sguardo “dentro” di Sergei Vasiliev
a cura di Francesco Bigazzi
Sergei Vasiliev, nato nel 1937 a Čeljabinsk, cittadina ai piedi degli Urali, è uno dei più famosi fotogiornalisti dell’era sovietica, con trent’anni di lavoro presso il quotidiano locale, e una lunga frequentazione delle prigioni in qualità di guardia carceraria. Dal 1948 ha affiancato Danzig Baldaev nella catalogazione dei tatuaggi e nella decifrazione, quasi un geroglifico, del loro significato, spesso diretto contro le autorità.
Ogni disegno parla di uccisioni, furti, spaccio. Ogni simbolo è un grado militare per riconoscere capi e sottomessi. Ma accanto alle schiene, le braccia, le gambe, il petto, interamente ricoperti di raffigurazioni sacre e profane - dalla chiesa di San Basilio alla triade
santa di Marx, Engels e Lenin, da San Michele e il drago ad Alexander Nevsky - Vasiliev ha sfiorato con il suo obiettivo anche la pelle femminile, morbidissima e bianca come una distesa di neve. La scena è di nuovo un luogo chiuso, non una cella di prigione ma una
sauna in una mattina d’inverno. Fuori il termometro segna molti gradi sotto lo zero, dentro è il calore di corpi nudi e floridi nello splendore della giovinezza. Nessun imbarazzo alla vista del fotografo. Tutto naturale, sensuale, il sudore che scivola sulla pelle, risate, confidenza, e
infine l’acqua che rinfresca i corpi.

Danila Tkachenko. Restricted Areas
a cura di Davide Monteleone
Sono stati i simboli dell’utopia e oggi sono le rovine di una potenza che voleva conquistare il mondo, dal sottosuolo allo spazio. Per tre anni Danila Tkachenko (Mosca, 1989), giovanissimo e straordinario talento della fotografia russa, in linea con le istanze più
internazionali e contemporanee, ha viaggiato il suo paese, dal Kazakistan alla Bulgaria, al Circolo Polare Artico, alla ricerca di quelle restricted areas, che dalla seconda guerra mondiale alla caduta dell’Urss, sono rimaste segrete, mute persino sulle carte geografiche.
Un dato biografico avvia questo imponente lavoro di documentazione. La nonna di Danila vive a Čeljabinsk, a pochi chilometri da un’altra città, identica nel nome, ma chiusa ed invisibile fino al 1994: Čeljabinsk-40. È qui che viene creata la prima bomba nucleare sovietica, ed è in quest’area che nel 1964 avviene una delle più spaventose catastrofi nucleari della storia, pari a Chernobyl. Tutto sotto silenzio. Quello stesso silenzio, quella stessa coltre di mistero e terrore, che nelle fotografie di Tkachenko si trasforma nel bianco immacolato della neve. Cosa rimane di un impero che ha sacrificato ogni ricchezza e milioni di vite in nome della tecnocrazia? La risposta di un ragazzo nato nell’anno della caduta del Muro e a pochi mesi dalla fine dell’Unione Sovietica sono queste splendide immagini.

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Data di ultima verifica: 24/11/15 13:30